Recensione di Solitudini connesse (Agenzia X, 2019)

http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2019/01/Solitudini-connesse.pdf

L’impressione che si ricava dal testo è simile a quella che si ha leggendo la coscienza di zeno, in particolare quando zeno descrive i propri falliti tentativi di smettere di fumare.
L’autore sembra descrivere i social media come parte della malattia esistenziale dell’umanità, possiamo uscirne o anche ignorarli, ma per lo più se siamo sinceri con noi stessi dobbiamo in qualche modo farne parte. O almeno questo mi sembra il senso della sua analisi, che è comunque il racconto di un’esperienza da “interni” interessante.
Io sono abituato a mentirmi evidentemente e quindi non ho strumenti social, uso la posta, irc e jabber, su server che o gestisco direttamente o li gestisce qualcuno di cui mi fido.

Non mi serve molto altro in verità. Non mi sento un sopravvisuto per questo, nè un eroe solitario, mi sento di usare quello di cui ho bisogno e non mi fastidia. Faccio l’informatico di mestiere, non ho mai avuto molti problemi a trovare lavoro senza contatti su linkedin, cosa che l’autore dipinge come quasi impossibile.. Penso di essere un’eccezione però e questo libro mi riporta un’esperienza diversa, che non credo sia meno vera della mia.
Il libro ha alcuni spunti buffi e interessanti. Paragona per esempio i selfie alle foto sulle tombe nei cimiteri, è una bella immagine, che coglie questa volontà di fermare l’attimo nel flusso informativo. A un certo punto in questa sua riflessione sulla morte descrive la celebrazione su fb di persone scomparse, delle amicizie di profili di persone morte e si chiede “Chi non ha mai partecipato alla celebrazione di una persona defunta su fb ?” A questo domanda che suonava un pò come “chi non ha mai parcheggiato in doppia fila ?” mi sono trovato con un certo imbarazzo a pensare, “io non l’ho mai fatto” (parcheggiare in doppia file sì invece). Si dirà “e grazie non hai fb”, e in effetti è così, forse chi lo ha, l’ha fatto per forza.
Il testo h poi ha il pregio di analizzare il lessico e i ruoli dei partecipanti ai social media: gli influencer, i followers, le echo chamber, le fake news.
E’ però fortissimamente legato all’idea che i social rappresentino questa mente collettiva, nella quale chi partecipa si immerge in un non meglio definito sapere esperienziale e inespresso dell’umanità. Se io dovessi scegliere un luogo nel quale confrontarmi con il sapere inespresso dell’umanità non sceglierei un media. Pero’ non mi sovviene alcun momento della mia vita nel quale ho fortissimamente sentito questo bisogno, penso mi basti e mi avanzi il piacere e la fatica di confrontarmi con il sapere inespresso dell’umanità che frequento dal vivo: un pò di sapere inespresso va bene, poi il resto lo lascio ai social media manager.
L’autore descrive per gran parte del libro la figura dell’algoritmo, con la A maiusciola dove il termine figura è veramente pregnante, perchè si tratta di un’entità spirituale simile al geist di hegel, che segna la nostra vita sui social media. E’ una descrizione suggestiva, ma gli viene assegnato un ruolo di ineluttabilità e di direzione strategica della vita delle persone che secondo me si realizza solo nella misura in cui veramente tu carichi queste reti di una tale importanza. L’algoritmo segreto di fb, come quello di google, sarà un po’ di calcolo matriciale e matematica discreta. Sicuramente la mente umana ha concepito e indagato strutture matematiche ben più complesse. Elevarlo a entità mitica e ineffabile, è sostanzialmente stare al gioco del mago di Oz. I social media hanno poteri magici, perchè i loro avventori e anche i loro detrattori glieli attribuiscono.
L’autore descrive poi l’uscita dai social o il non utilizzo senziente dei medesimi come una sorta di diaspora volontaria. Sostiene che non sia un problema di relazioni, chi non ha social media può avere relazioni sociali, perchè comunque troverà altre persone come lui, i delusi, i disintossicati, ma si negherà però anche l’accesso a questo sapere universale che i social secondo lui garantiscono. Mi immagino quindi questa orda di raminghi che vagano per lande desolate e strade vuote la notte o logge segrete che si riuniscono nei sottoscala e cantine, lasciando i cellurari (rigorosamente non smartphone) all’esterno.
Il libro in definitiva è abbastanza interessante da leggere, seppure io non condivida quasi nulla dell’esperienza dell’autore e molte delle sue affermazioni. Lo consiglirei però a chiunque utilizzi i social media, perchè mi rendo conto che la mia posizione dal di fuori risulta molto meno interessante per chi invece questi strumenti li utilizza. Prenderei però la sua analisi con le molle, in particolare la questione algoritmo, non perchè non esista il problema, ma perchè non è magia, e le persone con la loro intelligenza (non intelligenza) critica fanno la differenza. Spiritualizzare delle righe di codice sembra sottendere a una certà non responsabilità umana, che finisce per lasciare le persone passive, indifferenti nell’immobilismo o nella convinzione dell’ineludibilità del tutto.